mercoledì 5 ottobre 2011

8 bambini che hanno provato a cambiare il mondo

Dove gli adulti falliscono o dimostrano tutti i loro limiti, spesso sono i bambini a rimettere le cose a posto: a questo tema il sito americano TreeHugger ha recentemente dedicato un articolo, proponendo 6 storie di piccoli grandi ambientalisti che, con semplicità e schiettezza, si sono resi protagonisti di azioni importanti a tutela della natura. Noi ci siamo presi la libertà di aggiungere all’elenco due bambini molto speciali, la canadese Severn Suzuki e il tedesco Felix Finkbeiner.
1. Caitlyn Larsen

Caitlyn è un bambina di 10 anni di Orogrande, New Mexico. Un giorno, guardando fuori dalla finestra della sua cameretta, si è accorta che sul fianco di una montagna vicina si stava aprendo uno strano buco. Indagando, Caytlin ha scoperto che si trattava di una nuova cava mineraria. A questo punto, la ragazzina ha preso carta e penna e ha scritto ai giornali, per raccontare come quei lavori di scavo stessero devastando il paesaggio intorno alla sua città. La lettera non è passata inosservata ed è finita sulla scrivania del direttore della New Mexico Mining and Mineral Division, che ha convinto la società a bloccare le perforazioni: la montagna di Caitlyn è salva!
2. Birke Baehr
A soli 11 anni Birke ha le idee molto chiare in tema di alimentazione: è infatti un convinto paladino del biologico ed è diventato protagonista di incontri nelle scuole americane, per raccontare la propria esperienza e sensibilizzare i coetanei, invitandoli a riflettere sul valore nutrizionale di ciò che mangiano, sugli OGM e sull’uso di pesticidi e di altre sostanze nocive nelle coltivazioni.
3. Olivia Bouler
Ricordate il disastro della Deepwater Horizon, che lo scorso anno ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero? Di fronte a tanta devastazione ambientale, l’undicenne Olivia ha deciso di darsi da fare in prima persona, collaborando con la National Audubon Society per vendere i disegni degli esemplari di uccelli più colpiti dalla marea nera. La vendita ha fruttato oltre 200.000 dollari, che sono stati devoluti ad azioni di ripristino degli ecosistemi del Golfo. In occasione del primo anniversario dell’incidente, Olivia ha anche pubblicato un libro, perché quanto accaduto non venga dimenticato ma rappresenti un monito per il futuro.
4. Cole Rasenberger

A 8 anni Cole si è impegnato attivamente per salvare le foreste della sua regione, nel North Carolina, coinvolgendo numerosi coetanei della propria scuola. La sua iniziativa è stata di una semplicità estrema: i bambini hanno inviato delle cartoline firmate alle catene di fast food per chiedere loro di passare a packaging riciclati e sostenibili. La mobilitazione ha centrato un obiettivo importante, ottenendo risposte ed impegni da un colosso del settore, McDonald’s. Successivamente, gli sforzi di Cole si sono concentrati su una seconda catena, la KFC: l’azienda ha ricevuto direttamente dalle mani del bambino ben 6.000 cartoline, grazie al coinvolgimento degli allievi di altre scuole elementari della zona, ma al momento non ha offerto riscontri positivi. L’importante, però, è non mollare!
5. Mason Perez
A 9 anni Mason ha fatto una constatazione di una semplicità disarmante: si è reso conto che il getto d’acqua che scaturiva dai rubinetti del bagno della scuola, del campo di baseball, dei negozi e delle case della sua città era inutilmente forte. Per questo, ha scritto al sindaco chiedendogli di abbassare la pressione dell’acqua nelle tubature, ottenendo un risparmio idrico calcolato tra il 6% e il 25%.
6. Ashton Stark
A 14 anni Ashton ha deciso che era ora di tagliare le emissioni di CO2 della propria famiglia: con questo obiettivo, ha preso la vecchia auto dei nonni, parcheggiata in garage a prendere polvere, e l’ha dotata di nove batterie da golf cart. Ora la vecchia auto può viaggiare ad una velocità massima di poco più di 70 km/h – non molto, ma sufficiente per spostarsi in città – senza emettere anidride carbonica.
7. Severn Suzuki
Nel 1992, a soli 12 anni, Severn promosse una raccolta fondi con la Environmental Children's Organization (ECO), un gruppo di bambini ecologisti da lei fondato 3 anni prima, per poter prendere parte al Vertice della Terra delle Nazioni Unite, a Rio de Janeiro. Qui, in soli sei minuti e con parole semplici, schiette ed efficaci, Severn espresse il punto di vista di una bambina sui maggiori problemi ecologici, zittendo (momentaneamente…) i potenti del mondo. Oggi, a 30 anni, Severn continua nel suo impegno a favore della tutela dell’ambiente, collaborando con The Skyfish Project.
8. Felix Finkbeiner
A 9 anni, dopo una lezione della sua maestra sulla fotosintesi clorofilliana, Felix decise di piantare un piccolo albero sul davanzale della finestra della sua classe, per poi esclamare, con quell’entusiasmo genuino tipico dei più piccoli, “Pianterò un milione di alberi in Germania”. Oggi Felix ha 13 anni e, al motto Stop talking! Start planting!, ha superato il suo obiettivo: ha infatti piantato il milionesimo albero il 4 maggio 2011. Alla cerimonia erano presenti rappresentanti politici e Ministri dell'Ambiente di ben 45 nazioni.

Piccoli grandi uomini da cui i "veri" grandi dovrebbero prendere esempio.

di Lisa Vagnozzi





giovedì 15 settembre 2011

Living Infrastructure

Growing your own house may seem like a new idea, but what about growing pieces of functional infrastructure? That’s exactly what the locals of Nongriat in Meghalaya, India have been doing for the past 500 years. In that time, they’ve grown bridges over one hundred feet in length and strong enough to support the weight of more than 50 people. There are even “double decker” bridges! More after the jump!

Photo: Daily Mail
The fifteen meters of annual rainfall of the Cherrapunji region–a figure aggrandized by frequent flash floods–accelerate the flow of its rivers and streams, the fierceness and destructive power of which few wooden or steel bridges could withstand. Transport across the region’s numerous water channels is necessary, whether to return to one’s dwelling after fishing or clothes washing or to escape the dangers of one place to move to another. But how?
The locals’ answer lie in the sloping hills hugging the contour of the water channels, where a species of rubber tree flourishes. From the upper trunk of the ficus elastica, secondary roots grow outwards with great profuseness. The tribes people realized half a millenia ago that they could use these roots to forge a pass across the water below, using hollowed out betel nut trunks to guide the direction of the roots’ growth.
Once the roots make their way across the water to the opposite bank, they take hold. Here, they continue to grow and strengthen, not only stabilizing the bridge platform, but also reinforcing the bank walls. The full cycle of bridge-growing may take ten to fifteen years to complete, necessitating the locals’ aboricultural knowledge to be passed on from older to younger generations, who will, perhaps, personally continue the former’s work.
Fonte : http://www.architizer.com/en_us/blog/dyn/29362/living-infrastructure/

Forest Pavilion

nARCHITECTS’ Forest Pavilion - completed in May 2011 - serves as a shaded meeting and performance space for visitors to the Da Nong Da Fu Forest and Eco-park in Hualien province, Taiwan. The project was conceived within the context of an art festival organized by Taiwan’s\ Forestry Bureau to raise public awareness of a new growth forest that is being threatened by development. The pavilion is comprised of eleven vaults built with freshly cut green bamboo, a material first used by nARCHITECTS in the internationally acclaimed 2004 Canopy for MoMA P.S.1. As an extension of techniques developed in 2004’s Canopy for MoMA/P.S.1, the 60’ diameter and 22’ tall pavilion is built with green bamboo. Forest Pavilion was chosen to host the opening and closing ceremonies of the art festival, becoming a focal point for the park.
This new circular gathering space emerges from the ground in a series of eleven green bamboo shading vaults, organized in two rings around a void. The plan is inspired by the rings of a tree, and the different form of the vaults by growth patterns in nature. In the same way that the infinite variety of shapes in a tree emerge from very simple branching rules, the configuration of vault shapes uses a single geometry, the parabolic arch, in a way that could in theory generate endless configurations.
The pavilion is also designed to be used as a small outdoor theater. The circular ring of decking serves as either seating for spectators watching a performance in the central void space, or as a circular stage. nARCHITECTS’ mission was to design a landmark installation suited for the vast scale of its scenic site, while providing a sense of enclosure, shade, and seating for park visitors and various scheduled events. Forest Pavilion’s relationship to the existing site is diaphanous and light – the pavilion sits lightly in its environment with minimal disruption, yet with lighting becomes a beacon at night, underscoring the relative emptiness of the valley.
Hualien County is the traditional territory of the aboriginal Taiwanese Amis tribe. Used for sugarcane cultivation under Japanese rule and eventually passing into the Taiwanese government’s hands, the Forestry Bureau faced criticism for not involving local inhabitants in the planning and development of the Eco Park. While there is broad support for preserving the forest, there are also plans for development by the provincial government, including the construction of a casino. In recognition of the cultural diversity of the region, the pavilion’s vaults, each one presenting a unique ‘gateway’ into the meeting space, sought to formalize this diversity and suggest an opportunity for unity in support of a greater environmental benefit.

martedì 2 agosto 2011

La casa ibrida: low cost ed ecologica

Questo progetto di Joseph Sandy è stato recentemente premiato alla $300 House Competition
Edilgreen - 29 luglio 2011
Ideare un progetto abitativo realizzabile con al massimo 300 dollari. Questa la sfida lanciata dal concorso indetto dal blog Harvard Business Review e dal centro per l’efficienza energetica e la sostenibilità Ingersoll Rand.
Ed ecco come ha risposto uno dei vincitori, l’architetto e designer Joseph Sandy che ha progettato Hybrid House: un concept innovativo che integra materiali riciclati e a basso costo dando vita a una casa semplice ma molto efficiente.

Utilizzando materiali di scarto - come tavole di legno compensato, terra e lamiera ondulata - la casa ibrida è formata da blocchi di terra compressa e da una struttura leggera in legno. Completa di persiane in legno l’abitazione è in grado di sfruttare al meglio la brezza dei venti, riducendo al minimo la necessità di aria condizionata.
Con il suo progetto, Sandy ha voluto dimostrare come i materiali di scarto possono essere riciclati e utilizzati ridefinendo il loro scopo. Secondo il designer, il costo di realizzazione della Hybrid House è al di sotto dei 100 dollari. Ma l’inventiva di Joseph Sandy non si ferma alla singola abitazione, ipotizzando una comunità più grande formata da singole case che potrebbero essere raggruppate intorno a corti centrali con servizi comuni tutti all’insegna della sostenibilità: dai moduli fotovoltaici fino alla cucina e al depuratore d’acqua, tutti rigorosamente a energia solare.



lunedì 1 agosto 2011

Park Güell

ParK Güell è l'opera alla cui realizzazione Gaudì si dedicò dal 1900 al 1914, ispirandosi alla seconda grande opera letteraria di Verdaguer "Canigò", in cui si celebra la grandezza della montagne catalane.
Gli abitanti di Barcellona non accolsero purtroppo con molto entusiasmo l’idea di Güell tanto che solo 2 dei 60 lotti realizzati furono acquistati e il progetto venne abbandonato nel 1914. In una delle due case già costruite si trasferì quindi Gaudì con il padre e la figlia della sorella e ci rimase finchè non si trasferì definitivamente nel cantiere della Sagrada Familia.
Nel 1922 il comune di Barcellona comprò la proprietà decidendo di cambiarne il progetto, e di affidarne a Gaudì stesso la trasformazione della città-giardino in parco pubblico. Nell'area destinata alle case non fu costruito nulla e questa rimase allo stato naturale e selvaggio; si costruì solo nella parte destinata al tempo libero, che, una volta ultimata divenne un capolavoro e riscosse un grande successo.
Gaudì realizzò quest'opera dando libero sfogo alla propria fantasia e ricalcando la struttura di un paesaggio naturale: vi si trovano, infatti, fontane, grotte, colonne-albero e arcate artificiali di roccia.
Per questa struttura, Gaudì acquistò la Muntanya Pelada, situata a nord ovest di Barcellona, una zona caratterizzata da pendii accentuati, assenza di fonti d’acqua e da un terreno sassoso e arido, superficie inutilizzabile per la realizzazione di un centro cittadino e di zone verdi: aspetti critici che Gaudì utilizzò trasformandoli creativamente a suo favore.
Le mura di cinta furono costruite seguendo il profilo sinuoso dei molteplici cambi di pendenza della montagna sulla quale è costruito il parco, creando così un profilo ondulato della struttura. Le stesse, furono inoltre ricoperte da frammenti di ceramica rossi e bianchi che svolsero al contempo la funzione di decorazione e d'impermeabilizzazione (il muro fu costruito con un materiale alquanto scadente) e protezione del muro nei confronti di eventuali intrusioni.
L'entrata è situata tra due padiglioni. Subito dopo si trova una scalinata adorna di fontane ed elementi decorativi, che porta al grande tempio in stile dorico-floreale, la cui parte superiore è ornata da un motivo rosso che diventa una lunga serie di sedili decorati da ceramiche policrome.
La sala ipostila è costituita da 86 enormi colonne doriche che sorreggono un soffitto ondulato ricoperto ancora una volta da molteplici frammenti di ceramica policromi.
A guardia dell’entrata della sala due draghi, simboli di Barcellona, in realtà, nascondono due enormi cisterne per la raccolta dell’acqua piovana con la quale viene mantenuta la verdeggiante vegetazione del Parco.
Come per il muro di cinta, gli elementi decorativi del parco svolgono una doppia funzione. Infatti, le colonne, oltre a dare completezza alla struttura, supportano il tetto che non è solo un tetto. La terrazza soprastante orlata da un sinuoso e interminabile sedile, infatti è punto centrale del parco e funge da "piazza mercato", concepita come luogo d’incontro per tutti gli abitanti del borgo giardino nonché come luogo di rappresentazioni teatrali e manifestazioni culturali.
Il resto del parco è un intreccio infinito di viadotti e viottoli che serpeggiano attraverso la folta vegetazione della montagna.
Tutto è perfettamente integrato nel paesaggio.
La torretta (molto simile a quella di villa El Capricho) che si erge con la sua bicromia blu e bianca e che apparentemente sembra completamente isolata dal resto, svolge anch'essa una sua precisa funzione.
Se la si osserva da fuori l’entrata del Parco, gli insoliti colori assumono un significato: il colore azzurro del cielo e il bianco della nuvole in movimento.
Come ogni opera di Gaudì, ParK Güell contiene anticipazioni ed esplorazioni dei nuovi stili e correnti artistiche dell’Europa.
Se si considerano le decorazioni di "ceramica frammentata" soprattutto nell’ornamento del sedile, si noterà la loro analogia con i collages dei futuri Dadaisti.
L' uso di materiali poveri, fece anticipare a Gaudì intuizioni e idee dei futuri cubisti, Picasso e Mirò.
Gaudì inserì poi numerosi elementi architettonici che si confondono con il verde del paesaggio, con lo scopo di unire l'opera umana a quella della natura (creata da Dio). Questo è un tema ricorrente nell'arte di Gaudì, devoto e fedele della religione cattolica.
Il rivestimento delle mura di cinta con frammenti di ceramica rossi e bianchi, svolsero al contempo la funzione di decorazione e di impermeabilizzazione (il muro fu costruito con un materiale alquanto scadente) e protezione del parco nei confronti di eventuali intrusioni.
L'esterno del muro completamente liscio e scivoloso, e per di più arrotondato, risulta molto difficile da scalare a mani nude, non offrendo alcun appiglio per le dita.
La pietra ricavata dallo scavo per i sentieri e i viottoli era talmente poco resistente all’erosione dell’acqua che Gaudì dovette ricorrere ad accorgimenti come il rivestimento delle strutture con Trencadicas, la sovrapposizione di più strati di materiale.
Il risultato fu ottimo, tanto che fino ad oggi si sono rese necessarie limitate opere di ristrutturazione. Questa fu inoltre la prima struttura in cui Gaudì, insieme a mattoni e barrette di acciaio, utilizzò il calcestruzzo per la costruzione della torretta all’entrata.

giovedì 30 giugno 2011

Un tetto in ‘torsione' per un abitare sostenibile

Un imprevedibile centro ambientale a Long Beach, in California, è realizzato con i container scartati del secondo porto più trafficato del mondo. Chiamato eCORRE COMPLEX, Il Centro di Istruzione e Ricerca Ambientale Rigenerativa è stato progettato dagli architetti APHIDoIDEA e incorpora i più recenti sviluppi delle energie rinnovabili, compresa la progettazione passiva, i tetti verdi e il riutilizzo creativo dei materiali. Come riconoscimento della sua ingegnosità, il progetto è stato selezionato come finalista al Concorso AIA-LA USGBC Emerging Talent Design Competition.

I 65 container vengono prima impilati, poi manipolati per creare uno spazio accessibile per l’edificio e, infine, inclinati in modo da massimizzare l'esposizione solare. Un giardino sul tetto è dotato di un sistema di raccolta dell'acqua piovana con piante che necessitano di poca irrigazione, elemento importante che affronta giustamente il persistente stato di siccità della California.
Il Centro comprende tutto ciò che le persone interessate a un costruire sostenibile hanno bisogno di sapere, promuovendo al contempo una comunità verde con una bella piazza aperta e un anfiteatro all'aperto.







venerdì 24 giugno 2011

Il prossimo landmark di Giakarta

Lo studio KuiperCompagnons di Rotterdam ha recentemente vinto il primo premio del concorso di progettazione per lo sviluppo sostenibile dell’edificio per uffici Agung Sedayu Center a Giakarta.
Il progetto doveva essere un edificio sostenibile, contemporaneo e ispirato alla cultura tradizione indonesiana. L'idea nasce dalla forma dello 'yin e yang', così che la struttura degli edifici si torce e ruota verso l'esterno da un nucleo centrale che contiene i vani ascensore e le scale principali. Entrambe le torri sono collegate da uno spazio libero comune con strutture commerciali al piano terra, 6 piani di parcheggio di cui tre sotterranei, e un giardino integrato al 4° piano. L’edificio si sviluppa su 90,000m2 ed è completamente a prova di terremoto e tsunami.
Uno dei principi più importanti della sostenibilità è l’uso della ventilazione naturale per ridurre il raffreddamento meccanico. La forma complessiva come il dettaglio della costruzione, sono volti a evitare la luce solare diretta sulla facciata, e a sfruttare la direzione prevalente del vento. Le facciate dell'edificio sono infatti determinate dalle direzioni principali del vento e del sole. L'acqua piovana viene raccolta e riutilizzata, i pannelli solari sono posizionati sul tetto piano, e una pompa di calore geotermica è integrata all’edificio.
KuiperCompagnons si sono ispirati nella forma e nella facciata del palazzo al 'cesto in vimini' tradizionale indonesiano, che ha un doppio significato: da un lato il canestro simboleggia il luogo dell’incontro, e dall'altra parte simboleggia anche l'artigianato indonesiano. Il materiale utilizzato per la facciata è il legno locale, applicato in una struttura a griglia. Questa griglia diagonale della struttura portante ricorda la caratteristica struttura in rattan intrecciato. Collocato in una posizione strategica nel tratto di strada verso il Soekarno Hatta International Airport di Jakarta, il complesso Agung Sedayu diventerà un'icona indonesiana dell’architettura e un punto di riferimento della città.

giovedì 23 giugno 2011

HIGH LINE, SECTION TWO

Running between West 20th and West 30th Streets, the new section of the High Line is one-half mile long, doubling the length of the public park. New access points are located at West 23rd Street, West 26th Street, West 28th Street, and West 30th Street, supplementing the five existing access points at Gansevoort Street, West 14th Street, West 16th Street, and West 18th Street, and West 20th Street. All access points will be open daily during the public park’s summer operating hours, from 7:00 AM to 11:00 PM. The High Line is fully wheelchair-accessible, with a new elevator located at West 30th Street, and another located at West 23rd Street and scheduled to open by the end of June, supplementing two existing elevators at West 14th Street and West 16th Street. Traveling mid-block between 10th and 11th Avenues, the new section provides a new kind of urban experience, carrying visitors in close proximity to historic buildings and warehouses, and introducing unique views of the cityscape and architectural landmarks, including the Chrysler Building, the Empire State Building, and the New Yorker Hotel. Like the highly-acclaimed first section of the High Line, the design of the new section is inspired by the wild, self-seeded landscape that grew up naturally on the High Line when the trains stopped running in 1980. The design retains the original railroad tracks from the industrial structure and restored steel elements including the High Line’s signature Art-Deco railings. An integrated system of concrete pathways, seating areas and special architectural features blend with naturalistic planting areas to create a singular landscape. The High Line design is a collaboration between James Corner Field Operations (Project Lead), Diller Scofidio + Renfro, and planting designer Piet Oudolf, with support from consultants in lighting design, structural engineering, and many other disciplines. The design team was selected through a competition held by the City of New York and Friends of the High Line in 2004. The opening of the second section represents a major step forward in providing public access to the entire High Line. The remaining one-third of the High Line wraps around the Hudson Rail Yards, between West 30th and West 34th Streets. Still overgrown with wildflowers and grasses, the final section is owned by CSX Transportation, Inc. In 2010, the City completed the public land-use approval process to acquire this final section of the High Line, and is working with CSX and the underlying property owners on agreements to allow for public access to the High Line at the Rail Yards.“The High Line is many things – an historic artifact; a unique urban landscape; a social center for a changing neighborhood. But it is also an inspiring example of what can be accomplished when communities and their elected leaders work together for the common good,” said Friends of the High Line Co-Founder Robert Hammond. Friends of the High Line began advocating for the High Line’s reuse as public open space in 1999. In 2002, the Bloomberg Administration endorsed the project. The High Line structure south of 30th Street was donated to the City of New York by CSX Transportation, Inc., in November, 2005. Construction began on the transformation into a public park in 2006.The total cost for the design and construction of the High Line is $153 million. The cost of the section of the public park that opened today is $66.8 million. Funding for the entire project includes $112.2 million from the City, $20.7 million from the federal government, and $700,000 from the State. Remaining funds were raised by Friends of the High Line or paid by real estate developers pursuant to the Special West Chelsea Zoning District.High Line and Friends of the High Line Web site: http://thehighline.org/

venerdì 18 marzo 2011

La torre di origami

Un'esoscheletro di cemento che coniuga forma e funzione
La sorprendente O-14 tower a Dubai è in fase di completamento. Progettata da Jesse Resiser e Nanoko Umemoto di RUR Architecture (gli stessi architetti che hanno progettato il New Museum di New York), l'edificio presenta una facciata eye-catching, che oltre a colpire l'occhio contiene il guadagno di calore solare, e grazie a un sofisticato sistema di raffreddamento passivo, riduce il consumo energetico.
Simile ad una scultura più che a un edificio, la torre commerciale ha un nucleo centrale di spazi per uffici. La facciata decorativa ha più di 1000 "ritagli" circolari e funziona come un "esoscheletro". Questa struttura esterna in cemento armato supporta il nucleo, e quindi permette agli spazi interni di essere notevolmente aperti. Gli spazi per gli uffici sono praticamente privi di colonne, in grado di essere divisi e suddivisi nel modo in cui necessitano gli inquilini.
Tra l'esoscheletro e il nucleo centrale corre precisamente un metro lineare di spazio, che agisce anche come scivolo di aria calda. Anche se una grande metropoli, Dubai rimani pur sempre essenzialmente una città desertica. Per cui l'esoscheletro non solo protegge il nucleo centrale dell'edificio dal sole, ma la sua stessa forma trasporta l'aria calda verso l'alto e quindi all'esterno, cosa che fa risparmiare denaro ed energia per il raffreddamento del nucleo. I "ritagli" circolari sono accuratamente posizionati per creare le giuste viste dall'interno limitando l'esposizione al sole.
La torre di "soli" 21 piani ospiterà esclusivamente uffici, mentre il piano terra avrà un esclusivo centro commerciale di lusso, in puro stile Dubai, e un ingresso alla passeggiata del lungomare.

Fonte: Tecnici.it

giovedì 17 febbraio 2011

Passivhaus For Beginners


The History of a Superinsulation Standard
Posted on May 27 by Martin Holladay, GBA Advisor

An energy-efficient house without solar equipment. Designed by architect Christoph Schulte, this superinsulated home was the first Passivhaus building in Bremen, Germany.
More and more designers of high-performance homes are buzzing about a superinsulation standard developed in Germany, the Passivhaus standard. The standard has been promoted for over a decade by the Passivhaus Institut, a private research and consulting center in Darmstadt, Germany.
The institute was founded in 1996 by a German physicist, Dr. Wolfgang Feist. Feist drew his inspiration from groundbreaking superinsulated houses built in Canada and the U.S., including the Lo-Cal house developed by researchers at the University of Illinois in 1976, the Saskatchewan Conservation House completed in 1977, and the Gene Leger house built in 1977 in Pepperell, Massachusetts. Aiming to refine North American design principles for use in Europe, Feist built his first Passivhaus prototype in 1990-1991.
Feist later obtained funding for a major Passivhaus research project called CEPHEUS (Cost-Efficient Passive Houses as European Standards). Conducted from 1997 to 2002, the CEPHEUS project sent researchers to gather data on 221 superinsulated housing units at 14 locations in five countries (Austria, France, Germany, Sweden, and Switzerland).
The Standard Sets a Strict BarThe Passivhaus standard is a residential construction standard requiring very low levels of air leakage, very high levels of insulation, and windows with a very low U-factor. To meet the standard, a house needs an infiltration rate no greater than 0.60 AC/H @ 50 Pascals, a maximum annual heating energy use of 15 kWh per square meter (4,755 Btu per square foot), a maximum annual cooling energy use of 15 kWh per square meter (1.39 kWh per square foot), and maximum source energy use for all purposes of 120 kWh per square meter (11.1 kWh per square foot). The standard recommends, but does not require, a maximum design heating load of 10 watts per square meter and windows with a maximum U-factor of 0.14.
The Passivhaus airtightness standard of 0.6 AC/H @ 50 Pa is particularly strict. It makes the Canadian R-2000 standard (1.5 AC/H @ 50 Pa) look lax by comparison.
Unlike most U.S. standards for energy-efficient homes, the Passivhaus standard governs not just heating and cooling energy, but overall building energy use, including baseload electricity use and energy used for domestic hot water.
Thick Walls, Thick Roofs, and Triple-Glazed WindowsMost European Passivhaus buildings have wall and roof R-values ranging from 38 to 60. Wood-framed buildings usually have 16-inch-thick double-stud walls or walls framed with deep vertical I-joists. Masonry buildings are usually insulated with at least 10 inches of exterior rigid foam. To meet the Passivhaus window standard, manufacturers in Germany, Austria, and Sweden produce windows with foam-insulated frames and argon-filled triple-glazing with two low-e coatings.
Although the Passivhaus Institut recommends that window area and orientation be optimized for passive solar gain, the institute’s engineers have concluded, based on computer modeling and field monitoring, that passive solar details are far less important than airtightness and insulation R-value.
In the U.S. and Canada, the phrase “passive solar house” was used in the 1970s to describe houses with extra thermal mass and extensive south-facing glazing. Because of the possibility of confusing Passivhaus buildings with passive solar houses, most English-language sources use the German spelling of “Passivhaus” to reduce misunderstandings.
Gotta Have An HRVFeist recommends that every Passivhaus building be equipped with a heat-recovery ventilator (HRV). Since the space heating load of a Passivhaus building is quite low, it can usually be met by using an air-source heat pump to raise the temperature of the incoming ventilation air. In most European Passivhaus buildings, the heat pump’s evaporator coil is located in the ventilation exhaust duct, downstream from the HRV, to allow the heat pump to scavenge waste heat that might otherwise leave the building. In this way, the ventilation ductwork becomes part of a forced-air heating system with a very low airflow rate.
In Europe, most homes are heated with a boiler connected to a hydronic distribution system. Since residential forced-air heating systems are almost unknown in Europe, many Passivhaus advocates declare that their houses “have no need for a conventional heating system” — a statement that reflects the European view that forced-air heat distribution systems are “unconventional.”
Passivhaus Comes Back to the U.S.The first building in the U.S. that aimed to meet Passivhaus standards was a private residence built by architect Katrin Klingenberg in Urbana, Illinois, in 2003. The home included an R-56 foundation with 14 inches of sub-slab EPS insulation, R-60 walls, and an R-60 roof. Klingenberg specified triple-glazed Thermotech windows with foam-filled fiberglass frames.
Klingenberg later founded a nonprofit organization, the Ecological Construction Laboratory (E-co Lab), to promote the construction of energy-efficient homes for low-income and middle-income families. In October 2006, the E-co Lab completed Urbana’s second Passivhaus building: a 1,300-square-foot home that resembled Klingenberg’s home in many ways.
As Klingenberg devoted more and more time to promoting Passivhaus buildings in North America, she decided to found the Passive House Institute US — basically, a North American outpost of the Darmstadt institute — in Urbana.
Although Klingenberg’s first and second Urbana homes were built to the Passivhaus standard, she didn’t bother to have the homes certified and registered. The first U.S. building to achieve that goal was the Waldsee BioHaus, a language institute completed in Minnesota in 2006. That building includes an R-55 foundation with 16 inches of EPS foam under the concrete slab, R-70 walls, and an R-100 roof. The building’s triple-glazed windows were imported (at a high cost) from Germany.
How Do I Learn More?An easy way to learn more about the Passivhaus standard is to visit the bulletin board and Web forum hosted by the Passive House Institute US.
In the United Kingdom, the Building Research Establishment has produced an excellent English-language primer on the Passivhaus standard.
A GBA blogger, Rob Moody, is sharing details of his ongoing Passivhaus project in a series of blog postings.
Builders and designers interested in learning more about the Passivhaus standard may want to invest $225 in a Passivhaus software program, the Passive House Planning Package. Available from the Passive House Institute US, the software is a spreadsheet-based tool that models a building’s energy performance to help designers fine-tune the specifications of a building aiming to achieve the Passivhaus standard.

venerdì 4 febbraio 2011

Green street art






Ha tappezzato New York con i suoi graffiti viventi: è Edina Tokodi

Qualcuno ha il dovere di riavvicinare l'uomo alla natura. Qualcuno sente di farlo tramite l'arte. Qualcuno, come Edina Tokodi, di origine ungherese ma residente a New York City ormai da diversi anni, ha deciso di ergerlo a stile di vita e costante del suo lavoro. Così diffonde le sue opere: dagli spazi pubblici agli spazi privati, in tutto il mondo. Tra questi la Brick Lane Gallery di Londra e la Lana Santorelli Gallery di New York; ma ha lavorato anche per la SEPTA (Southeastern Pennsylvania Transportation Authority) di Philadelphia, il Billboard, una mostra di scultura pubblica a Budapest e una mostra personale presso la galleria (Le) Poisson Rouge. E le sue opere sono riconoscibilissime. E' street art, ma non solo: è green street art. Niente bombolette tossiche, niente danni all'ambiente, anzi. Impossibile avere qualcosa da ridire sui suoi "murales". Edina Tokodi infatti, in arte Mosstika, ha scelto di utilizzare solo materiali naturali. Le prime opere erano realizzate con delle piante che coltivava da sola e che utilizzava per creare i suoi cosiddetti “giardini verticali”, grazie all’aiuto di sua madre e di un amico giardiniere. Successivamente ha iniziato a utilizzare il muschio (da qui il suo nome, “moss” che sta per muschio e “tika” che dovrebbe indicare la parola politica, quindi “politica del muschio”) e realizzare degli stencil che hanno come soggetto quasi sempre animali o figure umane. Il muschio viene raccolto dai tronchi degli alberi e dalle pietre che trova nei pressi di casa sua, sempre senza esagerare. Successivamente crea una poltiglia fatta di siero di latte, zucchero e muschio di cui ha trovato la ricetta su internet e alla quale sta lavorando per apportare dei perfezionamenti. Queste opere si adattano all’ambiente e non pretendono di essere indelebili, Un artista che fa della sua arte un messaggio e del suo lavoro una missione. Una che crede nella forza dell'arte, capace di smuovere la gente. E perché no? Di salvare il mondo. Ecco come il rischio ambientale si trasforma in spinta motivazionale. Senza allarmismi. Con proposte.






Fonte: Mixdesign.it

venerdì 21 gennaio 2011

Il bar ribaltato


Un divertente gioco illusionistico per il coffee-shop newyorkese D'Espresso, dove viene simulata una biblioteca

Da poche settimane la celebre Madison Avenue di Manhattan possiede un’ulteriore attrattiva. Un semplice coffee bar, peraltro di modeste dimensioni, sconvolge il visitatore.
Allo studio Nemaworkshop non è bastato simulare, grazie alla composizione digitale, una biblioteca densa di volumi. In omaggio alla vicina Bryant Park, hanno voluto dare all’ambiente un tono un po’ intellettualistico (e molto ironico) al primo della una catena dei punti-vendita D’Espresso che gradualmente pervaderanno gli Stati Uniti.
Gli autori, infatti, hanno aggiunto una provocazione ulteriore: una rotazione del parallelepipedo di 90°. La foto che apre questo servizio sulla home page ci indica che il pavimento, rivestito in parquet, è diventato parete. E che due dei quattro lati della stanza “originaria” sono diventati rispettivamente soffitto e pavimento.

Il cliente si immerge in una divertente distorsione visiva, riportata alla “normalità” solo dal bancone bianco.
Noi sottolineiamo che, nella globalizzazione del contenuto-bevanda, è il contenitore-design a fare la differenza.


Fonte: Mixdesign.it